La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata (Cass. 26 gennaio 2018, n. 2039) in materia di plagio di opere d’arte, in una controversia che ha visto coinvolta la Fondazione dedicata a un famoso artista italiano da una parte, e un operatore professionale del mercato dell’arte dall’altra.

La Fondazione ha lamentato il plagio delle opere del Maestro da parte di un altro artista, i cui dipinti erano oggetto di promozione e di vendita da parte del mercante d’arte convenuto.

Dopo che il Tribunale di Milano e la Corte di Appello di Milano hanno accertato la sussistenza del plagio, il mercante d’arte ha adito la Suprema Corte, la quale si è pronunciata sui diversi aspetti oggetto di domanda da parte del ricorrente principale.

La Corte ha ritenuto infondati tutti e quattro i motivi posti alla base del ricorso e ha dunque rigettato il ricorso del mercante, condannandolo al pagamento delle spese processuali.

Nel suo ricorso, il ricorrente ha innanzitutto lamentato la carenza di legittimazione attiva della Fondazione all’azione di risarcimento. Confermando la pronuncia della corte di merito, la Cassazione ha rilevato che la Fondazione non ha “esercitato il diritto morale d’autore, di cui alla l. n. 633 del 1941 (legge d’autore), artt. 20 e 23, ma un autonomo diritto alla propria immagine, quale soggetto preposto a custodire l’opera del medesimo ed a diffonderne la corretta conoscenza”, riconoscendo un diritto di reputazione in un contesto sociale alla Fondazione, stante il compito istituzionale della stessa di tutelare l’opera dell’artista, che si estende anche all’azione giudiziale a sua salvaguardia.

La Corte si è poi pronunciata sul plagio, accertato dalla corte di merito e contestato dal ricorrente, evidenziando che non si tratta di plagio “con riguardo all’idea su cui l’opera si fonda, non proteggendo la disciplina sul diritto d’autore l’idea in sé (ottenibile anche fortuitamente, come autonomo risultato dell’attività intellettuale di soggetti diversi e indipendenti), trovando invece esso il presupposto nell’identità di “espressione”, intesa come forma attraverso la quale si estrinseca il contenuto del prodotto intellettuale, meritevole di tutela allorché rivesta il carattere dell’originalità e della personalità: le idee per se stesse non ricevono protezione nel nostro ordinamento, ma è necessario che sia identico il modo in cui sono realizzate e cioè la forma esterna di rappresentazione”. La Corte ha enucleato i diversi criteri che devono fondare la valutazione circa la sussistenza del plagio:

  1. l’autore del plagio deve appropriarsi degli elementi creativi dell’opera altrui “…ricalcando in modo pedissequi quanto da altri ideato ed espresso in forma determinata e identificabile…”.
  2. non sono sufficienti ad escludere il plagio “…originalità di mero dettaglio dell’opera plagiaria…”.

iii. la riproduzione illecita di un’opera è rilevante, non la confondibilità tra due opere.

  1. la valutazione alla base del giudizio deve essere “complessiva e sintetica”, non analitica, e deve avere ad oggetto il risultato globale o l’effetto unitario.
  2. non è ammissibile la valutazione in sede di legittimità del giudizio svolto in sede di merito relativo a opere d’arte contemporanea.

La sentenza impugnata è stata dunque ritenuta conforme a tali principi di valutazione.

La Cassazione ha poi confermato la ricostruzione della corte di merito, che ha applicato il principio di responsabilità solidale tra tutti i soggetti che hanno dato un contributo rilevante all’illecito ai sensi dell’art. 2055 c.c. nell’ipotesi di violazione dei diritti d’autore, includendovi l’operatore professionale che ha commercializzato l’opera, dando particolare enfasi al fatto che l’offerta sia avvenuta tramite televendita: uno strumento “che palesava una particolare idoneità lesiva, attesa la diffusione che permette nella distribuzione dell’opera plagiaria”.

La responsabilità del professionista, lungi dall’essere assimilata a una forma di responsabilità oggettiva, è stata assimilata invece alla violazione del dovere di diligenza qualificata ai sensi dell’art. 1176 c.c. che grava sull’operatore professionale del mercato dell’arte. La Corte ha peraltro rilevato che la sussistenza della buona fede dell’operatore non ne esclude di per sé la colpa e la conseguente responsabilità per inadempimento, se non sia in concreto provato ai sensi dell’art. 1218 c.c. che l’errore avrebbe potuto essere evitato usando l’ordinaria diligenza (principio, questo, consolidato in giurisprudenza anche per la vendita di cose d’arte, come emerge da Cass. 3 luglio 1993, n. 7299).

Nel caso di specie rileva inoltre l’art. 64 del Codice dei Beni Culturali (D. Lgs. 42 del 22 gennaio 2004) che, pone a carico dell’operatore professionale del mercato dell’arte l’obbligo di consegnare all’acquirente gli attestati di autenticità o provenienza, o in mancanza “una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza” (v. art. 64 Codice dei Beni Culturali) dell’opera.

In relazione alla quantificazione del danno ai sensi dell’art. 158 legge d’autore, la Corte, ritenendo il motivo di ricorso infondato, ha poi evidenziato che il ridotto valore delle opere plagiarie rispetto a quello ingente degli originali, non rileva ai fini della quantificazione del danno.

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte ha evidenziato due principali aspetti relativi, da una parte al diritto d’autore, dall’altra alla responsabilità del professionista dell’arte nell’offerta di opere plagiarie.

Infatti, sotto il primo profilo, non solo ha riportato l’attenzione sul concetto di plagio e sulla sua identificazione, “ordinando” i vari criteri che devono fondare la valutazione del giudice sul punto (nel caso di specie, il giudizio si è comunque fondato su una consulenza tecnica, il cui risultato è stato fatto proprio dal giudice), ma ha confermato, anche in forza dell’insindacabilità delle valutazioni del giudice di merito, la tutelabilità delle opere appartenenti al mondo dell’arte contemporanea c.d. “astratta informale”.

Segna infine un precedente cruciale la conclusione della Corte sulla responsabilità per il plagio dell’operatore professionale ai sensi dell’art. 2055 c.c., che deriva in parte dal Codice Civile, in ossequio del principio generale della diligenza qualificata ai sensi dell’art. 1176 c.c., e in parte dall’art. 64 del Codice dei Beni Culturali, che attribuisce all’operatore del mercato dell’arte un obbligo di consegna di specifica documentazione.