Occupandosi della domanda di cancellazione di dati personali contenuti nel Registro delle Imprese, la Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 15096 della I Sezione Civile, pubblicata in data 17 luglio 2015, ha rimesso ex art. 276 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea due questioni pregiudiziali interpretative.
La prima questione interpretativa riguarda il principio di conservazione dei dati personali, ovvero, se i medesimi dati acquisiti in ragione di quelle finalità per le quali era avvenuta l’acquisizione possono ancora restare pubblici nonostante sia trascorso un lungo arco temporale.
La seconda questione riguarda invece l’interpretazione dell’art. 3, Prima Direttiva 68/151/CE del Consiglio del 9 marzo 1968. La Suprema Corte ha chiesto al Giudice europeo se tale disposizione normativa consenta che, in deroga alla durata temporale illimitata e ai destinatari indeterminati dei dati pubblicati nel registro delle imprese, gli stessi non siano più soggetti a pubblicità, ma siano invece disponibili per un arco di tempo limitato in base ad un’autonoma valutazione casistica affidata al gestore del dato.

Il caso posto alla attenzione della Corte di Cassazione è relativo al danno lamentato dal ricorrente e relativo alla difficoltà di riuscire a trovare acquirenti per alcune unità immobiliari: i dati personali in questione e contenuti nel registro delle imprese e trattati a sua volta da una società di informazione professionale avevano cagionato al ricorrente una cattiva “reputazione”.
La questione riguarda come bilanciare il diritto alla conservazione dei dati personali e la richiesta di parte a non rendere più conoscibili quei dati dopo un arco di tempo non breve: dati che erano conservati e custoditi dalla Camera di Commercio in adempimento alle funzioni che ad essa vengono demandate dalla legge.

La Corte di Cassazione ha evidenziato che per ciò che concerne le informazioni contenute nel registro delle imprese il fine ultimo è quello di rendere fatti giuridici conoscibili a chiunque.
Questa esigenza deve essere però rapportata al c.d. “diritto all’oblio”.

Nella sua configurazione il diritto all’oblio è un diritto di creazione giurisprudenziale che ha trovato fondamento nell’articolo 2 della Costituzione.
La giurisprudenza di merito oggi riconosce questo diritto come il diritto al controllo sulla diffusione delle vicende passate di ciascun individuo, che non più desideroso di essere rappresentato nella realtà esterna per ciò di cui all’epoca fu attore, chiede che le informazioni sul suo conto vengano cancellate o aggiornate.

Ne deriva che il diritto all’oblio viene concepito come la tutela dell’identità personale del soggetto alla corretta informazione sul medesimo, imponendosi l’aggiornamento, “così come la rettifica …finalizzata ad instaurare l’ordine …alterato dalla notizia non vera (che non produce nessuna nuova informazione), … e volta a ripristinare il (contenuto del) sistema alterato dalla notizia (storicamente o altrimenti) parziale” (Cass. del 5 aprile 2012, n. 5525).
Appare necessario trovare un punto di equilibrio tra tutti gli interessi e diritti contrapposti ovvero da un lato il diritto all’oblio e dall’altro quello all’informazione.
La stessa Corte di legittimità ha affermato che quando si tratta di informazioni afferenti imprenditori appare difficile sul piano pratico fissare un termine congruo per la conservazione del dato da parte dello stesso legislatore in quanto le iscrizioni nel registro delle imprese avvengono per fatti specifici e tassativi, così come la loro cancellazione.
Nel caso di specie il nome del ricorrente era associato, a seguito della “elaborazione” dei dati camerali operati dalla società di informazione commerciale, alla impresa di cui fu precedentemente amministratore unico e liquidatore.
Pertanto, l’esatta rappresentazione dell’evento storico comporterebbe che le iscrizioni relative alla vicenda fallimentare vengano riportate solo nella visura storica della società e non anche nella parte anagrafica delle visure stessa.

Il rischio è, secondo la Suprema Corte di Cassazione, il profilarsi in assenza di una specifica legge, di un’elevata discrezionalità da parte dell’ente preposto alla selezione delle informazioni che verrebbero “riattualizzate” rientrando così nel circolo del pubblico dominio.

La Corte di legittimità ha ritenuto la questione decisiva per la soluzione del caso sottopostole ed ha così deciso di ordinare la sospensione del processo disponendo la remissione delle questioni interpretative pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.