Con sentenza del 9 luglio 2014 il Tribunale di Roma ha respinto la domanda risarcitoria di due noti imprenditori italiani, che nel 2009 hanno chiesto un risarcimento danni di 20 milioni di euro a Wikimedia Foundation Inc. – fondazione no profit che gestisce il sito wikipedia.org – asserendo che su questo sito fossero presenti pagine internet dal contenuto diffamatorio.
La sentenza ha in primo luogo ritenuto che Wikimedia Fondation svolga il ruolo di hosting provider del sito wikipedia.org (i.e. soggetto che si limita ad offrire ospitalità sui propri server di informazioni fornite dagli utenti).
In tale ambito, pertanto, “non è sostenibile l’equiparazione della posizione dell’hosting provider a quella prevista dall’art. 11 della legge n. 47/1948 in tema di reati commessi col mezzo della stampa, posto che a differenza di quanto avviene in materia di pubblicazione a mezzo stampa non vi è alcun rapporto negoziale tra l’autore dello scritto e l’hosting provider e che l’enorme quantità di dati che vengono immessi dagli utenti presupporrebbe una forma di responsabilità oggetto che, allo stato, non trova riscontro in alcuna norma positiva”.
Il Tribunale chiarisce altresì che Wikimedia, essendo una società stabilita al di fuori dell’Unione europea, “non è soggetta alle disposizioni del D. lgs 70/2003 sul commercio elettronico, espressamente riservate ai sensi dell’art. 2 lettera c) del decreto ai soli servizi prestati da soggetti stabiliti in paesi UE”.
Il citato decreto legislativo può essere però preso in considerazione quale sistema di principi regolatori della materia, al fine di valutare se la condotta di Wikimedia sia o meno lecita.
Ciò posto, è un principio regolatore della materia che – a fronte di una generale esenzione di responsabilità – l’hosting provider risponde degli illeciti dei suoi utenti qualora, non appena sia a conoscenza di detti illeciti su comunicazione delle autorità competenti, non si attivi per rimuovere le informazioni illecite o per disabilitarne l’accesso.
L’esenzione di responsabilità cade, invece, qualora il destinatario del servizio agisca sotto l’autorità o il controllo del prestatore, come nel caso dei “content provider”, in quanto viene meno la neutralità di quest’ultimo rispetto al contenuto.
Tuttavia, il fatto che Wikimedia, ove informata del potenziale contenuto illecito di alcuni dei contenuti riversati nello spazio offerto agli utenti, sia solita attivarsi per disporne la cancellazione, di per sé non determina la sua qualificazione in “content provider” visto che tale attività è svolta all’unico fine di non incorrere a sua volta in responsabilità, non già per incidere sulle pagine internet pubblicate.
Anche sotto il profilo della condotta omissiva, che comporterebbe la responsabilità di colui che ha obblighi di controllo dei contenuti pubblicati su wikipedia.org, il Tribunale di Roma non ha ravvisato nella posizione di Wikimedia Foundation l’obbligo di garantire che non vengano commessi illeciti lesivi dell’altrui reputazione. Infatti, a differenza del content provider, l’hosting provider offre un servizio basato sulla libertà degli utenti di redigere le pagine internet: proprio questa libertà esclude l’obbligo di garanzia in capo a Wikimedia Foundation e trova il suo bilanciamento nella possibilità lasciata a chiunque di modificarne i contenuti e di chiederne la cancellazione.
Nemmeno la proprietà dei server e la titolarità del dominio wikipedia.org rappresentano elementi idonei a modificare la natura dell’attività in concreto svolta da Wikimedia Foundation, attività che risulta del tutto estranea all’organizzazione e alla selezione dei contenuti pubblicati, tanto più per il fatto che gli attori avrebbero potuto autonomamente modificare il contenuto delle voci ritenute lesive ovvero invocarne la cancellazione.
La sentenza qui commentata rappresenta la seconda vittoria legale di Wikimedia Foundation, la quale a fine giugno 2013 aveva vinto una causa simile intentata da un famoso ex politico italiano.